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Di una Teresa qualunque (fra natura e cultura)

Prendi Teresa, la chiamerò così, che ho visto nascere e crescere in una famiglia che l’ha svezzata, coccolata, poi l’ha iscritta dalle suore e poi le ha preparato il corredo e lei tutta felice cresceva aspettando solo quel momento, il matrimonio, la maternità. E’ un caso, se vogliamo considerarla un’eccezione, ma questo le è successo.

Crescendo si allontana tanto dagli insegnamenti delle suore. Non si sente in colpa se si tocca, se fa sesso, se la dà la prima sera o al massimo alla seconda, se cambia piani e studia, non perché fosse necessario per il suo futuro ma perché s’è diplomata la cugina e ha la laurea pure la figlia di quella poveraccia della vicina e vuoi che mia figlia vada a nozze senza una bella laurea in tasca? E studiando e ri-studiando Teresa si accorge che il mondo è bello perché è vario ed è per questo che qualcuno dice che le donne non dovrebbero studiare, che mandarle all’università è come mandarle alla perdizione, perché “lì fanno le puttane e in paese sono sante” e lo so che a Bolzano questa storia non è più credibile, ma dalle mie parti, e forse anche altrove, ma non ci giurerei, questa è ancora vera attualità.

Quella Teresa lì, insomma, decide nientemeno che vuole lavorare e stare indipendente. Comincia con il fare la cameriera in quella città e al paese non vuole proprio più tornarci. La mamma, soprattutto, ha l’assillo dei soldi spesi per l’organizzazione della vita della figlia. “E il corredo?” – e resta lì, mamma, o me lo dai e lo uso io. Non è che se vivo da sola le lenzuola esplodono nel letto. Svolgono la sua funzione uguale e quella vestaglia che m’hai preso, se me la metto da single, ti giuro, fa la sua porca figura anche se non ho la fede al dito.

La mamma si rassegna, il babbo pure e dopo qualche mese timidamente la invitano a pranzo per parlare del di lei futuro. Ebbene, cara, sai che io e papà ti avevamo costruito il piano sopra, un appartamento, ma se tu non vieni qui, poi che facciamo?

E lei: “ma se lo posso usare solo se ci vado con un marito non è una opportunità ma una specie di ricatto… affittalo, vendilo, non importa”. Mamma e papà le danno dell’ingrata. Irriconoscente questa figlia sdisonorata che non apprezza e non ringrazia e che scalcia e risponde male.

Ma chi sei tu? Dice la mamma. Chi è questa creatura che abbiamo cresciuto? Sono io, mamma, o quello che sono diventata, e in realtà è merito tuo, del babbo, perché siete voi che mi avete fatto studiare, che avete contribuito affinché io ampliassi le mie prospettive e non è mica colpa mia se non ho incontrato uno con cui voglio andare a nozze.

Teresa vive sola, lavora, ha fatto anche un dottorato, mamma e papà sono orgogliosi. Hanno venduto casa e le hanno dato l’anticipo per un mutuo in quella città. C’è un tale che frequenta, la incontra, le fa bene, pare, e lei che al momento di figli proprio non ne vuole di certo non si priva del sesso e con tutto il rispetto per le suore poi benedice chi ha inventato la contraccezione. La mamma spera ancora ché “è brutto invecchiare sola, figlia mia, fatti dei figli, fatti una compagnia…” e pare strano dirlo a una ragazza che sola, in effetti, non è mai.

Così è andata e così va ancora. Ed è tutta bella gente, brave persone. E cosa sono quelle lasagne della madre di Teresa… 🙂

Posted in Racconti 2012, Storie precarie.

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