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Safiyah

Safiyah iniziò il suo viaggio che aveva diciannove anni. Arrivò nelle coste del mediterraneo a 23 anni compiuti. Il tempo trascorso in viaggio, tra torture e svendite del proprio corpo, era stato interminabile.

Tuttavia era riuscita a mimetizzarsi tra le migliaia di disperati esuli dai propri ambienti e diretti chissà dove ed era infine riuscita mettersi in viaggio per la terra dei bianchi.

A proposito di quel mondo le avevano detto mille cose. Sicuramente l’avrebbero trattata bene, l’avrebbero aiutata a costruirsi un futuro migliore.

Tanti le avevano detto che sarebbe stata dura. Che il suo era un sogno che non si sarebbe mai realizzato. Perché nel paese dei bianchi qualcuno aveva inventato la parola “razza” per distinguere un essere umano da un altro esser umano. Qualcuno aveva perfino detto che l’intelligenza delle persone diminuiva da nord a sud e che i tratti somatici della sua gente corrispondevano a quelli di persone cattive.

Safiyah non credette a tutte queste cose. Malelingue, invidiosi che non vogliono che io parta. Così pensò.

Sopportò qualunque sacrificio perché in fondo il razzismo, oltre a farti pensare che la tua gente sia stupida e cattiva, ti mette in testa quella strana idea che i bianchi siano migliori. Ti dice che nella candida terra dei puri tutto è perfetto e quello che per alcuni è un deterrente alla partenza per altri, invece, è un incentivo.

Un mondo di esseri superiori, fatto di persone così belle, pulite, intelligenti, è sicuramente all’altezza di una persona incompresa come me. Pensò Safiyah.

Perché lei era davvero la più intelligente del villaggio. Prima della classe. Migliore in molte cose. Non trovava nessuno con cui parlare di quello che le interessava. Quel mondo era troppo piccolo per lei. Perciò iniziò a viaggiare.

Il suo primo contatto con il mondo dei bianchi l’ebbe in mare. Lei stava su una imbarcazione di fortuna, raggomitolata accanto a un ragazzo che non aveva mai visto in vita sua. Perché in viaggi come quello chi ti è sconosciuto diventa comunque tuo fratello.

Ce n’era un altro che Safiyah cercava di evitare. Voleva rubarle l’acqua. Le aveva già tolto il cibo e voleva concedergliene una parte in cambio di qualche prestazione sessuale.

Per fortuna dopo un attimo la luce di una imbarcazione le diede una speranza. Immaginò di essere in salvo.

Ed eccoli i bianchi, avanzare con quella bella nave, urlavano qualcosa di incomprensibile, sicuramente parole di benvenuto, Safiyah ne era sicura.

Si avvicinarono pericolosamente fino a tamponare l’imbarcazione e due uomini si esposero, avvolti di luce chiara, sembravano due meraviglie scese dal cielo. Di loro Safiyah vedeva il movimento delle labbra, poi distinse i lineamenti, e ancora continuava a sorridere, felice di conoscere gli Dei del mondo perfetto.

Quando riuscì a misurare l’intera espressione di quelle facce fu colta da stupore.

Forse è così che gli uomini intelligenti mostrano la loro umanità. Pensò.

Lo sparo successivo poteva essere soltanto un segno di festa. Stavano segnalando l’arrivo di nuovi amici da portare in luoghi caldi, asciutti, pieni di cose magnifiche da mangiare, tanta acqua da bere.

Safiyah desiderava più di ogni altra cosa una crema per il viso. Era rimasta troppo tempo al sole, al caldo, al freddo, e quella pelle, liscia alla partenza, era diventata vecchia, squamata, irrigidita dalla sofferenza e dalla fatica.

Safiyah immaginava che il bel mondo potesse riportarla alla sua antica bellezza. Perché la bellezza è contagiosa. Non è possibile tenerla tutta per sé.
All’alba vide le luci di un porto. Era la costa dei bianchi. Anche lì tutti erano avvolti di meraviglioso splendore.

Safiyah voleva correre per abbracciarli e ringraziarli. Provò a baciare la mano ad uno che invece la fermò con un colpo di manganello.

Bisognava stare in riga. Andare in un’unica direzione. Tutto attorno si vedeva solo sabbia, cemento, rocce, campagna. Infine un cancello che introduceva ad un grosso edificio recintato.

Safiyah fu ad un passo da quel luogo ma un tale parlò con i bianchi e la lasciarono con lui.

Un bianco sorridente. Forse è proprio lui che mi aiuterà. Pensò Safiyah.

Dopo un giorno e mezzo di viaggio, arrivò in un capanno confinato alla periferia di una città. Freddo, triste, pieno di ragazze come lei.

Si dissero qualcosa nella lingua degli esseri civili e subito a Safiyah fu data una prima lezione su quello che sarebbe stato il suo destino nella terra dei bianchi.

Una ragazza la rivestì. Un’altra le diede la crema idratante e Safiyah si attaccò a quella crema quasi fosse il segno di una occasione memorabile della sua vita.

La notte successiva era già in strada a vendersi ai passanti. Uomini bianchi, intelligenti, superiori, che si degnavano di onorare queste donne senza qualità con attenzioni che Safiyah fece fatica a riconoscere.

Nel mondo degli inferiori gli uomini che le chiedevano pezzi di corpo da usare erano solo dei maiali. Nella terra degli uomini perfetti invece si trattava di sicuro di un primo approccio, un gesto di accoglienza.

Quando Safiyah disse al suo protettore che aveva familiarizzato abbastanza con gli uomini del pianeta dei buoni lui rispose che in alternativa lei avrebbe familiarizzato con il cemento racchiuso tra muraglie e ferro tagliente.

Decise di correre il rischio, perché in fondo Safiyah era venuta nel mondo dei bianchi per saperne di più e sulla strada aveva già appreso tutto quello che c’era da sapere.

La sera successiva, durante un giro di controllo della polizia, lei dimenticò di nascondersi dietro il cespuglio. Fu prelevata, portata in questura e infine dentro il blocco di cemento senza possibilità di fuga.

Vide finalmente una donna, bianca, sicuramente buona, intelligente e perfetta. Aveva una voce che somigliava ad un miagolio soffocato. Di mestiere faceva i conti.

Contava le coperte, le lenzuola, i panini, le bottiglie d’acqua, i recipienti di detersivo, i farmaci, le stanze, le persone.

Safiyah era la numero 335 di un esercito di persone che venivano dai mondi del male.

Provò a chiedere se in quel posto potessero darle una crema per il viso. La donna dei conti le disse che non si trovavano in un istituto di bellezza.

Una crema idratante si può avere in un capannone di prostitute ma non si può avere in un posto destinato ad azioni umanitarie. Annotò Safiyah.

La donna che contava perfino le speranze infrante degli stranieri un giorno disse a Safiyah che doveva tornare da dove era venuta.

Lei non sapeva cosa fare perché di tornare indietro non aveva alcuna voglia e poi davvero non capiva.

Posso lavorare. Provò a dire nel suo italiano migliore.

La bianca umanitaria disse che prima avrebbe dovuto trovare un lavoro e poi semmai sarebbe stata accolta nella terra del bene.

I cubi di cemento sono luoghi strani. Se sei in difficoltà si avvicinano in tanti a chiederti se hai bisogno di aiuto.

Generalmente sono bianchi. In divisa. Promettono un lasciapassare per la terra intelligente. In cambio chiedono un po’ di attenzioni.

Ho già fatto quel genere di conoscenza. Rispose Safiyah. Non voglio più ripeterla.

Così il bianco umanitario la picchiò e sul suo viso già disidratato si aprì una voragine. Una cicatrice talmente profonda dalla quale era possibile scorgere perfino i pensieri.

Il bianco intelligente e in divisa la denunciò come persona che “creava disordini”. Safiyah fu arrestata.

Che brutto il mondo dei bianchi. Tutti i posti sembrano delle prigioni. Pensò.

Rimase nella prigione intelligente del mondo dei bianchi per qualche mese. Poi fu riportata nel cubo di cemento dalla donna che contava anche i respiri.

La notte successiva incontrò il fratello acquisito nel suo viaggio in mare.

Vieni con me. Le disse.

Rumori, fiamme, tanta confusione. Si aprì uno squarcio in una rete e Safiyah riuscì a incontrare il mondo oltre i recinti e le muraglie.

Compì 26 anni in un posto sperduto tra le montagne ai confini del mondo dei buoni. Scrisse una lettera. La prima di tutto il suo viaggio.

“Cara mamma, avevi ragione a dire che la terra dei buoni è un inganno. Io sto bene. Ho la crema idratante. Mi manchi molto. Se non mi danno il permesso di soggiorno non posso venirti a trovare. Abbraccia tutti. Ti prego, non morire prima che io ti abbia rivista…”

—>>>E’ una storia di pura invenzione. Ogni riferimento a cose, fatti e persone è puramente casuale!

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