Abbiamo pensato, come per il cyberstalking, di proporvi una serie di post che potranno comporre, se lo vorrete, un manuale di autodifesa legale dell’attivista. Lo intitoleremo “L’utile infamità” perché avremo bisogno di riferirci in senso generale a casi concreti per dirvi cosa è meglio che non facciate per rendere vana e rischiosa la vostra attività militante.
I capitoli potranno riguardare il cyberattivismo così come l’attivismo di piazza e altre cose ancora di cui parleremo via via che ci verrà in mente, che vorrete suggerirci temi utili da affrontare.
Abbozzeremo ora i due capitoli già citati (li approfondiremo) e in seguito siamo cert* che ci verrà in mente molto altro di cui parlare.
Cyberattivismo
Il web si compone di tanti luoghi. Oramai molti di più rispetto a quelli che c’erano prima del web 2.0.
C’è stato il tempo di indymedia e ora è anche il tempo dei blog, di twitter, facebook, i social network in generale e altri progetti di comunicazione indipendente.
Chiariamo una cosa essenziale: l’anonimato in rete non esiste. Anche quando usate un account lontano dal vostro nome reale, a meno che non usiate programmi di criptazione e non varchiate mai la soglia dei vari luoghi di socializzazione in web, incluso mailing list in chiaro, social network e varie, in ogni caso non siete anonimi.
Può solo essere più difficile e lungo che siano associati un ip alle cose scritte, ma la rete memorizza tutto e se voi avete scritto con lo stesso indirizzo mail in un tot di liste, partecipato a qualche progetto e usato quell’indirizzo mail per ricevere aggiornamenti dalla newsletter tal dei tali, comunque avete lasciato tracce su tracce e verosimilmente è molto semplice scoprire da dove avete avviato la connessione e infine chi siete.
Esistono due identità plausibili. Quella reale e quella virtuale. Utilizzare una identità virtuale, un nickname fisso, non significa agire nell’anonimato perché un nickname riconoscibile equivale esattamente ad un nome e cognome reali.
Chi clona il vostro nickname infatti commette un furto di identità sia che navighiate il web con il vostro nome reale che con quello virtuale.
Di contro chi associa in pubblico il nome reale a quello virtuale, viola la privacy, facilita l’indicizzazione su google di quei nomi e compie un grave errore di netiquette.
Un errore che si fa frequentemente quando si parla di identità virtuali è quello di ritenere che dietro un nick si nasconda un presunto anonimato.
In realtà, come abbiamo visto nei vari capitoli sul cyberstalking, per le donne, per esempio, è molto più utile a tutela della propria privacy non esporre le proprie foto e non inserire informazioni “reali” che possano incoraggiare gli stalkers a raggiungervi presso le vostre abitazioni o i vostri numeri di telefono.
L’altro errore che si fa, anche in alcune conversazioni in ambito movimentista (e femminista) è quello di schedare la persona con la quale si sta parlando in una mailing list pubblica, a commento di un blog, su un social network.
L’intento non è diverso da quello di un qualunque cyberstalker che vi sovraespone inserendo vostre foto, nome, indirizzo e numero telefonico per mettervi alla berlina.
Succede così che la femminista tal dei tali mentre conversa con l’altra femminista senta la pressante esigenza di citare nickname, nome reale e forse anche altre informazioni per smascherare colei che le sta sulle ovaie.
Non solo non è un atteggiamento tanto “compagno” ma è una reale violazione della privacy per tutti i motivi sopra elencati.
L’altro argomento che è necessario affrontare, che si tratti di fonti di informazione indipendente, di blog, social network o altro è questa:
Voi non siete in un’isola felice e dovete essere consapevoli che rispondete alle leggi di questo paese. Per cui dovete essere consapevoli che in questo paese esistono una varietà di reati imputabili a chi si esprime in pubblico e tali reati vengono dimostrati più facilmente nella misura in cui una pagina scritta, da un tale indirizzo ip, a nome di una tale persona che fa parte di un progetto, è una prova più solida di una conversazione tra varie persone magari riferita da terzi.
Attualmente non potete insultare, calunniare, diffamare, perseguitare virtualmente nessuno.
Rispondete di tutto ciò che scrivete anche se quella cosa l’avete scritta tre anni fa, la querela è stata fatta dopo due anni e ci sono voluti altri anni per concretizzare l’accusa. L’effetto diffamatorio di un articolo insiste fino a che quel determinato testo non è pubblico. Rintracciabile dunque ad una determinata url e mai smentito, corretto, rimosso.
In determinati casi può essere utilizzata come prova persino lo screenshot o la stampa di un testo pubblicato che è stato secretato successivamente, perché viene considerato il danno fatto nel momento in cui è stato reso pubblico ed è rimasto accessibile ad un tot di ingressi.
Il suggerimento dunque è:
– evitate i sensazionalismi. Fanno male a voi. Fanno male a tutti quelli che copincolleranno il vostro testo per farlo circolare. Fanno male ai soggetti che sono protagonisti della vostra denuncia e che rischiano fior di denunce per calunnia se non pesate ogni parola scritta;
– evitate di dare del mafioso a qualcuno se quel qualcuno non è stato condannato con sentenza definitiva in cassazione. se anche fosse stato condannato in secondo grado e c’è un appello in ballo voi potete ancora essere passibili di querela.
– evitate di usare il web come sfogatoio. Non è un luogo privato. E’ un luogo pubblico. Non potete permettervi di sputtanare nomi di persone che restano su google per un tempo immemorabile perché questo costituisce legalmente un danno all’immagine e potranno chiedervene conto e il conto è salatissimo.
– Evitate di fingervi giornalisti d’assalto se non avete alle spalle una struttura che vi copra, vi fornisca fondi per le spese legali e vi fornisca un buon avvocato. Non a caso le inchieste di denuncia dovrebbero essere fatte da chi se lo può permettere ovvero dovrebbe esserci una legislazione che tutela il giornalista prima che l’oggetto dell’inchiesta.
– E’ triste dirlo ma il giornalismo indipendente, i blog e i social network devono comunque attenersi ad alcune regole chiare che si riferiscano alla citazione delle fonti, a commenti che non vadano oltre la rivendicazione della libertà di opinione e di espressione e a denunce sociali che hanno un fondamento reale.
– nel caso in cui avete pubblicato una cosa che può costituire la base per una querela potete cancellarla ma non prima di aver ospitato un errata corrige, un commento o una smentita pubblica, che abbia esatta visibilità tale e quale il pezzo che avevate pubblicato in precedenza, con eguale diffusione.
Ricordate che la legislazione è controversa e in qualche caso siete anche responsabili dei commenti che ospitate. Va dunque chiarito in più di una circostanza che chi scrive è responsabile di ciò che scrive a meno che non vogliate passare il tempo a setacciare ed editare i commenti per evitare grane.
Questo vale per i blog e vale soprattutto per quei siti di informazione indipendente che vengono incoscientemente usati come luogo di sputtanamento nei confronti di chiunque non tenendo conto che dietro ogni progetto ci sono persone fisiche e che quelle persone di sicuro non si sbattono per permettere a qualcuno di soddisfare i propri pruriti infamanti nei confronti di questo e quello.
Se volete denunciare una violenza di piazza contro i manifestanti è sempre bene comunque pubblicare un video, tangibile, indiscutibile, piuttosto che un commento che denunci con nomi e cognomi personalità che potranno dire che avete detto il falso.
Imparate a ritenere il web come l’anticamera di uno stato di polizia, in pieno teknocontrollo (come voi sapete) e comportatevi di conseguenza.
Perché l’italia non è una democrazia. Perché in italia non c’è libertà di parola e perché il metodo più frequente usato per fare tacere le voci scomode è quello della denuncia per diffamazione e calunnia.
La piazza
Onde evitare equivoci deve essere chiaro che questa parte è assolutamente scevra di pregiudizi nei confronti di qualunque pratica militante.
Ci sembra essenziale però che chi scende in piazza debba sapere alcune cose.
Scendere in piazza è un diritto. Lo sappiamo tutti.
La piazza può essere concordata, con un tragitto preciso, autorizzazioni di questura, cordoni di polizia che sorvegliano il tracciato. Schieramenti che bloccano una eventuale zona rossa.
Oppure si può trattare per intero di una zona rossa perché quella piazza non è stata concordata con nessuno e in tal caso dovete essere consapevoli di quali rischi correte nel caso in cui decidiate di partecipare.
Superare una zona rossa, fare resistenza al cordone della polizia, reagire in qualunque modo, anche per dire ahi, alle cariche sintetizzando significa resistenza a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata e varie altre cose che sono una ragione più che sufficiente per autorizzare un uomo in divisa a tirare fuori il manganello, farvi male e arrestarvi.
Lo stesso dicasi di una piazza come quella, per esempio, delle persone che senza autorizzazione resistevano per non fare passare i camion dell’immondizia a Napoli.
Stessi reati, manifestazione non autorizzata, talvolta viene evocato il danneggiamento, l’interruzione di pubblico servizio (questo può essere imputato anche nel caso di una occupazione in un luogo pubblico, uffici, scuola), oltraggio a pubblico ufficiale se anche avete sollevato le braccia per parare i colpi dei manganelli.
E’ capitato talvolta che pezzi di movimento, hanno rivendicato di voler superare la zona rossa, come gesto di ribellione ai limiti imposti.
La classificazione di queste azioni di piazza non sta nella distinzione tra violenza e non violenza. Quella distinzione la lasciamo a chi si diverte a fare la divisione tra buoni e cattivi.
A noi preme semplicemente dire che in quei casi i pezzi di movimento organizzati, si preparano ad una resistenza dei corpi, fatta di scudi in plexiglass, caschi per parare i colpi e talvolta mascherine per ripararsi dai lacrimogeni.
Sono corpi che resistono perché quello che fanno è tentare di conquistare anche solo qualche metro in più di democrazia.
Chi scende in piazza ha già tutte le informazioni del caso. Ha con se’ il numero di un legale. Conosce tutte le possibili violazioni che non dovrà subire. Conosce i tempi che devono passare da un arresto al momento in cui dovrà avere accesso ad un avvocato. Conosce i termini delle accuse che possono essergli avanzate.
È capitato comunque che anche in caso di corteo autorizzato la polizia abbia reagito in modo violento bloccando i manifestanti prima della fine del percorso concordato o prendendo a pretesto lo scoppio di un pedardo per fare intervenire gli agenti in tenuta antisommossa.
Che voi siate lavoratori che bloccano una strada per rivendicare attenzione e lavoro o cittadini che difendono un territorio dalle speculazioni, da costruzioni devastanti, dall’inquinamento, o studenti che difendono il proprio diritto allo studio, o altri soggetti di qualunque altro tipo, è fondamentale che voi sappiate sempre dove state andando, con chi e qual è l’obiettivo della manifestazione.
Se c’è un coordinamento dell’iniziativa dovrà essere quello a istruirvi, passarvi tutte le informazioni (pretendetele) per permettervi di partecipare con consapevolezza, di non partecipare se non lo ritenete opportuno, di partecipare muniti di tutto l’occorrente che può servirvi a sopravvivere ad una carica della polizia.
Se vi diranno che la manifestazione è una passeggiata nei boschi andrete con la scarpina dorata e il parasole.
Ricordate comunque che anche nelle manifestazioni in cui chi organizza chiede espressamente che non si compiano azioni di piazza può esserci qualcun@ che vuole fare sfoggio di testosterone e che ha il lancio della pietra o della bottiglia facile (il che può provocare una reazione da parte della polizia). Generalmente è lo stesso servizio d’ordine dei manifestanti (se c’è) che impedisce che certi gesti possano essere compiuti per l’incolumità di tutt*.
Ricordate anche che talvolta la polizia può reagire anche solo alla vista di uno striscione che dice cose che non gli piacciono. Uno striscione risponde più o meno delle stesse leggi che riguardano (per esempio) un sito. Ogni cosa scritta diventa una affermazione che può essere censurata, querelata (perchè turberebbe l’ordine pubblico). Quando alcuni striscioni non piacciono alla polizia inizia una baruffa: la polizia può chiedere il sequestro dello striscione (come di volantini) e se non mollate la presa vi beccate le botte.
Una cosa del genere è accaduta persino in una manifestazione di donne contro la violenza (per un manifesto contro i Cie) e in un presidio laico il cui manifesto fu preso a pretesto per una denuncia per vilipendio di chi fu individuato.
Se, di contro, vi diranno che c’è la possibilità di una dura reazione da parte della polizia è essenziale che voi sappiate che corteo non autorizzato/superamento zona rossa/occupazione spazio pubblico/resistenza alle forze dell’ordine può tradursi in botte e arresto.
In quel caso – che voi partecipiate o meno, che vi troviate lì per documentare, per fare fotografie o siete semplicemente di passaggio – vi serviranno scarpe e abiti comodi (a maniche lunghe perchè i gas urticanti ustionano la pelle), qualcosa che vi pari la testa (una manganellata può spaccarvi il cranio come fosse un cocomero), una maschera contro i gas urticanti o un fazzoletto, un pezzo di tessuto imbevuto d’acqua e limone, collirio, occhialini (anche quelli da mare) perché i lacrimogeni possono ustionare i vostri occhi, abiti di ricambio nello zaino (perché se ci sono gli idranti e siete in mezzo al freddo e al gelo se non vi cambiate rischiate il congelamento), il numero di un legale, un kit di primo soccorso.
E’ chiaro che nel caso in cui vi rendete conto che la vostra manifestazione (manifestare è pur sempre un diritto) può risolversi in un bagno di sangue farete bene a lasciare i bambini a casa, se ne avete, o farete bene a valutare le conseguenze delle azioni di piazza secondo quello che è il vostro stato di salute. Perchè per assurdo bisogna essere sani per rischiare di essere feriti a sangue.
Si tratta dunque di essere preparati a eventualità che come sapete a Genova nel 2001 hanno coinvolto tutti i presenti, perché la polizia non guarda in faccia a nessuno e chi arriva in piazza senza difesa può avere dei problemi.
Ricordate – inoltre – che sono in vigore ancora le leggi del vecchio codice per cui potranno anche imputarvi perfino “l’adunanza sediziosa”. Un bravo avvocato può fare istanza di anti costituzionalità e vincere la causa ma non tutti hanno un buon avvocato. Ricordate di andare in corteo con persone che vi hanno già specificato quale tipo di pratica vorranno usare in piazza, perchè voi siate a conoscenza dei rischi che correte e dunque partecipiate consapevolmente, perché esiste il reato di “concorso”. Se vi capita di andare in una manifestazione e qualcuno (che non conoscete) vicino a voi spacca il vetro di una macchina, se la polizia identifica e ferma voi sarete voi a beccarvi una denuncia per danneggiamento anche se non avete materialmente danneggiato niente.
Ricordate in caso di partecipazione a cortei non autorizzati, a pratiche configurate nel codice penale come reati, che se anche la polizia non vi ferma subito, quando vi avrà identificato può denunciarvi (vi può identificare attraverso le foto, i video e qualunque cosa si trovi in circolazione) , quindi in qualsiasi momento potreste ricevere un ‘invito a presentarvi davanti al magistrato per un reato compiuto durante un corteo (l’avviso di garanzia potrebbe non arrivare ) e questo può accadere anche a quattro anni dal fatto, che voi siate realmente imputabili di qualcosa o no.
In generale, se chi partecipa ad una manifestazione ha il diritto di essere informat@, di ricevere indicazioni chiarissime su quello che può accadere, per scegliere consapevolmente se partecipare o no, chi coordina una manifestazione o chi guida un corteo ha il dovere di non sottovalutare mai il fatto che prima di tutto vale il principio di responsabilità collettiva e che ogni partecipante, in quanto soggetto autodeterminat@, ha il diritto di sapere.
Ha il diritto di sapere per avere la libertà di restare o andarsene. Ha il diritto di sapere, per esempio, se la testa del corteo intende superare il limite concordato con la questura, per quelle scaramucce alla conquista di qualche metro in più, che in ogni caso costituiscono esattamente lo stesso livello di rischio che può costituire qualunque altra iniziativa. Chi decide andare oltre quel limite può usare il megafono, un volantino, il passaparola, ma deve informare chi c’è per permettere che la scelta di partecipare (o non partecipare) sia consapevole.
Perchè la consapevolezza è la prima forma di autodifesa. Perchè l’informazione è un diritto. Perchè in piazza non si giochi mai a chi ne sa di più, a chi ti guarda con l’aria di chi custodisce un grande segreto mentre chiedi come mai cento metri più in la’ succede di tutto. Perchè tutt* devono avere la possibilità di autogestirsi. Perchè chi manifesta non deve mai essere considerato un branco di gente ignara, buono soltanto a fare numero.
Per ora è tutto.
A presto con il prossimo post.
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