Skip to content


Voce del verbo SiciliAre

(Pubblicati per le Edizioni della Battaglia)

Terra di Sicilia

E’ terra di Sicilia

quella che te la senti appiccicata addosso;

che impone l’espropriazione del corpo

ospita feti stracolmi di maschile ostentata ottusità.

Quella che se sei donna

e parli come una donna

ti dicono che hai rotto il muro del silenzio

(o che ragioni con un utero infecondo);

Che se vesti il lutto

perchè hanno ucciso

un’idea in germe

sei una pessimista,

che se le donne

vogliono partecipare ai cortei

deve trattarsi solo di quelli funebri.

Che se hai bisogno

devi farti “stato”

o devi sposare

chi lo stato

lo fa solo per se’.

Che se non battezzi la figlia

nel nome dei padri di cosa nostra

è illegittima prole

che il genitore

(fedele al concordato)

destina alla spartana rupe,

(mercato di lercie vagine).

E’ terra di Sicilia

quella che te la vivi male.

Che ti costringe a scegliere

tra spazi inesistenti.

Che se cammini sola

devi aver paura

e

non ti senti libera.

************

…E il suo battito si distinse dal mio

 

Sentivo dentro me,

l’insofferenza di chi vuole dare voce

al proprio bisogno di giustizia.

Già da allora,

e nel frattempo un battito si confondeva al mio.

Ti raccontavo speranze

e intonavo note d’angoscioso malessere.

Ti descrivevo colori

contrastanti l’omologazione,

sfumature diverse non assuefatte

da iridescenti prevaricazioni.

Ti costrinsi fuori

dall’argine dei rapporti sessuati

e ti indicai gli occhi di un sole col sorriso

e di un nebuloso cielo.

La mia inquietudine era stimolo a vivere

e la rabbia impulso a combattere.

Mi costrinsi a dare voce alla coerenza

e rivendicai il diritto a sentire il mio corpo offeso.

Fu un altalenante insieme di acrobazie di umori e rimozioni.

E ancora sentivo il tuo battito

confondersi col mio.

Non potevo insegnarti la “reazione” se io ancora subìvo.

Non la piena cognizione di te

se non sapevo indicarti un percorso.

Scelsi la strada solitamente non battuta,

tracciai distanze e cercai in me un modello di riferimento.

Scrissi nella sabbia, per te,

parole non contenute

in un sapere già definito,

imparando ad alimentare attraverso

un insolito cordone ombelicale.

Consapevole di essere responsabile

del produrre nuove figlie,

sentii il peso

dell’insofferenza a riconoscersi,

più che la certezza di aver trasmesso

volontà di imporre.

Tracciasti un segno sulla sabbia

e il tuo battito si confuse con il mio.

Il rosso di una fragile rosa

ma anche del sangue versato.

L’azzurro nei tuoi occhi di cielo,

lo stesso cielo

sulle lacrime di un’alba

che tarda a venire.

Percorsi un sentiero

ed un cartello

a rendere visibile un bisogno:

“Condividerò un senso di impotenza non irriso di vittimismo!”

Uccidi un fiore a falciarlo dal suo prato.

Morrà la rondine condannata ad un’umana prigionia.

Le urla di una donna che piange il proprio figlio: il silenzio!

Ecco, vedi quella è indifferenza.

Il sibilo di un colpo

(le imposte frattanto chiuse).

Quella è paura.

E mentre ti insegno la violenza del silenzio

ascolto i nostri battiti

tentando di distinguere, tra essi, il tuo.

Bianco come le lenzuola

a coprire corpi dilaniati

dalla traccia di un disegno privo di colori.

Osserva, il potere ne è l’autore.

Ho schierato la mia anima

dalla parte dei morti,

per sentirmi viva.

Per permetterti di vivere.

Stringimi la mano.

Voglio insegnarti a non uccidere…

E mentre penso a mille madri

responsabili di trasmettere culture d’odio.

ascolto attenta

e sento il tuo battito distinto ora dal mio,

e tu m’insegni, infine, figlia mia.

Posted in Racconti 2006, Racconti Editi.

Tagged with , , , , , .