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Le inchieste di pelo della trombatrice precaria

La madonnina, in legno intagliato, simbolo di una missione in Madagascar. Con un bimbo all’altezza del grembo e una figura affusolata che si dirige in una punta arrotondata. Il suo volto, incorniciato dal velo. La sua posa, lievemente inclinata in avanti.

Giorgio la vide e gli piacque abbastanza. Un attimo dopo armeggiava dentro la mia vagina con quel pezzo di sacralità a forma fallica.

E’ proprio il caso di dirlo: è stata una penetrazione della madonna!

Così comincia la nuova carrellata di avventure della trombatrice precaria che allo stato attuale è impegnata in uno scambio di sms che possiamo sintetizzare così:

Lei mestruata “sono in fermo biologico!”.

Lui: “domani pensi di essere pronta per la pesca?”

Ma ci sono stati altri giorni di grande attività ed è di quelli che vi voglio parlare.

Avventura numero uno:

“Mi piaci, mi piaci davvero”. A pronunciare queste parole è uno stangone di un metro e novanta, beddu comu lu suli, tartaruga in rilievo, occhio azzurro, barba maschia di tre giorni. Ce n’era abbastanza perché la trombatrice precaria si disponesse alla trombata del secolo. Ore 21.30: lui passa a prenderla e si accerta del suo stato “cara come stai?”. Le apre lo sportello, l’aiuta a scendere dalla macchina. ‘azzo, è pure gentleman!

Ma che sarà mai quel sacchetto che lui tiene in mano? Entrano in ascensore. Lui la abbranca con passione, una mano su una chiappa ed una romanticamente tra le sue. Nostra signora della tromba è affascinata, non proprio in estasi ma poco ci manca. Aprono la porta della camera da letto. Ancora avvolta da un’aura di dolce poesia mista a passione. Qui si sente dire: “Preparati!” mentre lui va in bagno.

Preparati?!?! E che doveva fare? Si guarda allo specchio. Sembra tutto a posto. Le gambe, le braccia, le tette sono lì tutt’e due. Alza la gonna per vedere se era, chissà, cresciuto qualcosa.

Lui arriva emozionato. Il sacchetto di plastica sempre in mano. Abbraccia, tocca, schiaccia, svita, spreme. Lingua in azione. Spegne la luce. Lavora di mani. Le toglie le mutande. Ahia, ha staccato un paio di peli nella foga dell’azione. Fa niente, ricresceranno. Morde un’ascella. Per fortuna l’aveva depilata. Indulge ancora sull’ascella e le spalma un po’ di saliva alla scoperta di un punto che potremo chiamare “Q”. Spegne la luce. Le afferra due mani in una e le si distende sopra. Lei non si può più muovere. Si arrende alla pressione e pensa che quello è il momento. Allarga le cosce e aspetta.

Lui afferra il dildo custodito dentro il sacchetto (ecco perché se lo portava dietro). Inizia una penetrazione e finge di eccitarsi come fosse il suo pene. La T.P. (trombatrice precaria) accetta di buon grado la novità e arrivata al dunque si complimenta per l’estro. Lui con la faccia sorpresa fa il pavone orgoglioso di una stazza plastificata. Lei indica il sacchetto. Lui continua a negare.

La cosa buffa non è che un uomo abbia voluto sostituire con un dildo potente il proprio attrezzo assai più modesto. Il colmo è che quello abbia potuto pensare che lei non se ne accorgesse.

“Ti telefono la prossima settimana?” – concluse lui.
“No. Fammi chiamare dall’amico tuo del sacchetto di plastica…” – fu la risposta di lei.

Avventura numero due:

Aveva una voce da cavernicolo. Da buona trombatrice precaria non potevo lasciarmi sfuggire l’occasione. Conosciuto in chat. Che non è vero che ci incontri solo maniaci. C’e’ un sacco di gente normale, che sfrutta le ore d’ufficio per “socializzare”.

Alla prima chiacchierata mi spiega subito da che parte sta. Frequenta un gruppo che si incontra in una specie di circolo politico con un nome che ricorda vagamente uno scrittore un po’ fascista. Lui è un uomo. Maschio vero.

Mi faccio mille film. Una struttura perimetrale di almeno il triplo rispetto ai comuni mortali. Un diametro da melanzana coltivata in serra. Una lunghezza da poterci fare il nodo e una forma perfetta. Altro che quel coso scarso sul bacino del david fiorentino di piazza della signoria.

Nel nostro primo scambio virtuale lui è di poche parole. “Uno di quelli che pensa ai fatti!” – penso. Mentre io esprimo valutazioni tecnico-sessuali lui riesce a scrivere dei ripetuti “siiiiiiiii”. Mi viene il sospetto che la sua sintassi sia ridotta al minimo. Ma la trombatrice precaria non può essere pignola. Ci serve l’involucro. Se non parla è meglio. Basta che funzioni.

Alla fine di ogni sessione di sesso virtuale mi ringrazia con cortesia e mi manda una sua nuova foto. Mezzobusti perfetti. Dopo un po’ di tempo mi chiede il numero telefonico e con mia grande soddisfazione anche nelle conversazioni reali lui lascia a me libertà di parola e riesce a dire solo tanti “siiiiiii”.

Per qualche momento penso persino che lui sia straniero. Quando glielo dico reagisce malissimo ed è l’unica volta in cui gli sento pronunciare una frase completa: “se ti piacciono i negri non ti chiamo più”.

Evito di dirgli dei miei trascorsi di addetta alla cooperazione internazionale con missioni umanitarie di stimolazione di peni esotici. Una storia che finì quando fu chiaro che attorno ai peni c’erano anche tanti uomini che avevano deciso, senza ricambiare il favore, che più che un piacere per me era un dovere farli felici.

Gli spiego comunque che mi piacciono gli uomini di carnagione scura, come lui. L’uomo incastrato nel mito della caverna di platone allora graffia la roccia e proclama con soddisfazione la sua resa ad un incontro. “Ti meriti proprio un appuntamento!”.

Sono bionda, occhio chiaro. Abbastanza ariana da fargli sangue. Per l’occasione indosso la mia mise anni trenta con ciuffo ondeggiante sopra un occhio, il destro, che mi inibisce la visione di un sacco di cose.

Mi muovo come fossi con un faro nella notte. Sbatto contro lo stipite della porta e strappo la manica della camicetta incastrata nella maniglia. La scarpa a tacco dieci mi fa un male cane. Per una trombata come si deve si fa veramente di tutto.

Lui si presenta come uno 007 in incognito. Passa inosservato come king kong in una tranquilla giornata d’inverno. È massiccio. Muscoloso. Sicuramente palestrato. Collo taurino. Spalle larghe. Capelli cortissimi. Faccia di destra.

Non scende dalla macchina. Mi apre lo sportello dall’interno e non posso fare a meno di notare che persino da seduto la larghezza del suo torace non corrisponde a quella del suo bacino. “Poco male” penso. In fondo anch’io ho qualche sproporzione. Una tetta più grande dell’altra. Il culo africano tridimensionale rispetto al resto.

Quando arriviamo in pizzeria, dove i colori della patria stanno persino nella carta igienica della toilette, noto che la sproporzione è più che altro una forma a calice di spumante. Gambo stretto e testa grande. Provo a immaginare un pene con quelle caratteristiche. Si potrebbe definire conico-piramidale.

Lui ordina anche per me. Una margherita tricolore con più basilico perché “nelle pizze il verde non si vede abbastanza”.

Comincio ad essere impaziente e immagino il momento dell’amplesso. Nelle orecchie un tripudio di inni patriottici e la mia vagina sull’attenti in attesa dell’alza bandiera. Se gli si rizza con la stessa velocità del saluto romano sarà doloroso, penso. Lo stuzzico sulla potente efficacia dei preliminari. Arrossisce e mi invita a lasciare a lui la prima mossa. Dice di essere uno che crede nelle tradizioni. Che in una coppia ciascuno deve mantenere il proprio ruolo.

Apprezzo la precisazione e mi abbandono pigramente al fluire degli eventi. Finalmente qualcuno che mi porta e sa dove portarmi. Che conduce con sicurezza e mi evita la fatica di precisare percorsi e segnalare dolorosi errori d’accesso.

Finita la pizza mi prende la mano e con maschia decisione mi lancia una linguata sulla bocca. Per lui è il preludio di un bacio. “Questo è solo l’assaggio!”. Mi preoccupo di una possibile inondazione. Odio la saliva straripante.

A casa sua è tutto in ordine. Simboli. Bandiere. Libri. Foto ricordo con dubbi personaggi del neofascismo moderno firmati con dedica. Appena varcata la soglia si avvinghia da dietro e continua a sputarmi sul collo. Lo distraggo con una mano sulla cintura dei suoi pantaloni. “Non è ancora il momento” mi blocca.

Mi guarda quasi minaccioso. Ecco, ci siamo – penso. Nella mia testa risuonano i fratelli d’italia, tutti quanti. Lui mi tocca una spalla e insiste nel massaggiarla come fosse il mio allenatore di box. Io muovo il collo, inspiro, espiro. Sono pronta. Glielo segnalo con un chiaro movimento d’anca. Lui non coglie e continua con il massaggio. Finalmente mi toglie la camicetta e inciampa sul mio reggiseno. Sputa sul mio capezzolo destro e mi cinge per la vita per accennare un passo di danza.

Una lussazione alla spalla, una tetta che penzola e l’altra innalzata al mento da un push up. Mi sento un po’ ridicola. Lui sembra non accorgersene. Provo a rimettere il seno nell’apposito contenitore. Lui mi ferma e mi regala un’altra linguata che arriva fino all’orecchio. Sono eccitata come fossi al cospetto di mister bean.

Finalmente mi svela qualche centimetro della sua mutanda. Un comunissimo boxer. Nessuna svastica e nessun simbolo del potere bianco. Accompagna la mia mano ad afferrare il suo pene. Non posso fare a meno di notare che è vistosamente ancorato a sinistra. Lui prova a raddrizzarlo ma è inutile. Un cazzo formato boomerang che si piega all’opposizione è una gran disgrazia per un uomo così fedele ai valori della destra.

Resta a sinistra anche quando è eretto ed è un gran bel problema convincere la mia vagina a ruotare secondo il suo orientamento. La posizione migliore sarebbe quella a forbice ma lui vuole farlo fissandomi negli occhi. Ha uno sguardo liquido che si inarca assieme alle sue sopracciglia. La pupilla fissa un punto vuoto in alto ogni volta che lui è sul punto di venire. Non geme, non si lamenta, non proferisce verbo. Lui continua a dire “siiiiii”, esattamente come in chat. Confermo che l’abilità dialettica non è il suo forte.

Mi viene da ridere e allo stesso tempo trattengo le bestemmie per il dolore. La vagina urla vendetta. Il mio partner occasionale sta cercando di scavare una caverna in una direzione sconosciuta ad ogni studioso di anatomia.

Finisce invertendo l’unica sillaba che conosce con un “issssss” che ricorda vagamente una ruota che si sgonfia. Mi guarda orgoglioso come chi ha compiuto la scalata del monte Everest. Tutto è durato pochissimi secondi. Per fortuna. Trova superfluo chiedermi se mi è piaciuto. Sarebbe sorpreso di sapere che mi avrebbe eccitato di più il venditore di pane e panelle con la bancarella al mercato.

E’ andata come è andata. La trombatrice precaria vi aspetta per raccontarvi le sue prossime avventure. A presto alla prossima inchiesta di pelo.

Posted in Racconti 2008, Satira, Sesso racconti.

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One Response

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  1. Laura Besana says

    Ahahahahhhhh hai una modalità di racconto spassosissima