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La telefonata

Per prima cosa c’era da fare il biglietto. Il treno sarebbe partito da un momento all’altro. Una fila immensa di quelle che potresti restare lì per ore finchè non ti rendi conto che giusto un paio di metri più in là c’è la macchinetta che sorprendentemente funziona.

La stazione ferroviaria è un luogo fatto di tante anime vaganti, persone che puntano in su lo sguardo a cercare la giusta ora, il binario, i numeri che scattano, i ritardi, e la voce della tizia che pronuncia frasi spesso incomprensibili.

Sono ancora intrappolata in fila alla biglietteria e dopo un paio di culi stanchi e di valigie trascinate in malo modo arriva il mio turno. Il ticket-man è al telefono. Non so se gli è permesso ma intanto gesticola e chiede cosa voglio. Mi interesserebbe quella città a nord. Più a nord del nord, ché per me qualunque città che sta oltre lo stretto di Messina è già Nord.

Smette la telefonata, sorride, fa due o tre cose con i suoi strumenti di lavoro, vuole una precisazione, fornisco i dettagli del mio viaggio, porge il biglietto, mollo i soldi, sospetto voglia fregarsi il resto. Ancora una telefonata, credo sia sempre quella dell’attimo prima. Aspetto ancora il resto. Mi deve trenta euro, circa. La tipa non lo molla.

La gente in fila è impaziente, lui ride, poi si fa serio, mi guarda, chiede cosa desidero, codifico la mia richiesta “vorrei il resto – dicesi – r-e-s-t-o”. “Ah… ma non glielo avevo dato?” “eh no…”. Mi lancia nella fossa sottovetro la mia cifra.

“Grazie” – dico. “Mi scusi ancora” – fa lui, e mi porge il suo telefono. “Uh? Che devo dire? Chi è? Che devo fare?”. “E’ mia madre… glielo dice per favore che sto lavorando?”.

Posted in Racconti 2012, Storie di dipendenze.

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