Alla fine del paese c’è la signora Nunzia. Non ha niente di bello, a cominciare dal nome. Se vi aspettate una storia in cui si narra di forme voluttuose e morbide sensualità mediterranee potete smettere fin d’ora di leggere. Sappiate che anche la ragione estetica delle donne del sud per la maggior parte è imposta.
Contribuisce un immaginario maschile di cultura araba/spagnola che sa vendere la propria “immagine” come gli svedesi nazisti si sono serviti della bellezza e della presunta disponibilità sessuale delle loro donne per rifarsi la faccia e per incentivare un certo turismo sessuale.
Le donne svedesi non sono più “sessualmente” attive di quanto non lo siano altre donne e le donne mediterranee non sono così morbide e accoglienti come la cultura maschilista le vuole.
Per corrispondere al modello estetico che dovrebbe riguardare le donne meridionali dovremmo essere tutte rispondenti allo stereotipo che quel sessista di Tornatore vende in tanti suoi film. Dovremmo essere tutte come Sofia Loren, alter ego della famiglia mussolini, o come la Cucinotta o meglio come la Bellucci che notoriamente è tanto meridionale come si può esserlo in umbria.
Delle donne meridionali aspre, appuntite, incazzate, non disponibili, non accoglienti, non materne, non ospitali, e non rispondenti al clichè della sensualità solare fabbricato in cinemascope non piace parlare a nessuno.
Donne come Nunzia però esistono e dunque bisognerà che qualcuno ne parli.
La incontro sotto la pioggia. Troviamo riparo sotto lo stesso balcone. La saluto. Mi risponde con una smorfia. Non ci tiene ad essere simpatica e probabilmente ha i cazzi suoi. E’ sgradevole, “brutta” come può essere brutta una che somiglia solo a se stessa. Vestita alla meno peggio, con un abito da vecchia e un paio di scarpe che hanno oramai preso la forma del piede asimmetrico.
Non ha niente di attraente a parte lo sguardo, vissuto, diretto, di una donna presente a se stessa. E’ impaziente perchè non ha un ombrello e non smette di piovere. Finita la burrasca il mio ombrello può bastare per due. La accompagno senza parlare. Le automobili non ci risparmiano, pozzanghera dopo pozzanghera, schizzo dopo schizzo, e alla fine della corsa siamo letteralmente da strizzare.
Nunzia mi invita ad entrare. Mi porta un paio di pantofole e mi invita a togliermi le scarpe inzuppate di fango. Lei corre a controllare i panni stesi. Non se n’è salvato nessuno. Sono fradici. Tutto da rifare. Da una stanza in fondo al corridoio viene la voce di una donna anziana. Mi dice che è la suocera. Non la sopporta ma deve aiutarla a sopravvivere perchè “i suoi figli se ne fottono”, precisa.
Va a controllare che tutto sia a posto e accende una stufa elettrica a tre elementi, di quelle altamente sconsigliate perchè possono mandare a fuoco una casa intera. La avvicina ai miei piedi e mi consiglia di non riscaldarli troppo perchè altrimenti mi vengono i geloni.
Corre in cucina e mette sul fuoco qualcosa che somiglia ad un sugo da scaldare. Marito e figli saranno a casa presto e lei per colpa della pioggia è ancora in altomare. Torna da me per chiedermi se prendo un caffè. Dico che non voglio disturbare. “E’ il minimo”, mi dice e procede senza aspettare il mio consenso.
L’aroma del caffè maschera quella casa di sapori “normali”. Guardo le marche di alimenti con cui traffica in cucina. Roba da discount. Sottomarche sconosciute fuori da questa zona. Spesa familiare all’ingrosso, come si fa in ogni famiglia numerosa.
Si presenta con il vassoio delle grandi occasioni e il servizio buono. La zuccheriera è stata appena riempita ma ai bordi è incrostata di zucchero vecchio. Mi sembra giusto. Non si aspettava visite e fosse stato per me non avrei usato tutte quelle attenzioni.
Mi chiede se sono la figlia della signora tizia, la ragazza che ha studiato e che è sempre fuori. Le dico di si. Mi da i saluti per mia madre con un rispetto, quasi una venerazione, per la donna che mi ha cresciuto e che mi rendo conto sempre di più di non conoscere quasi per niente.
Mi dice che anche lei ha una figlia della mia età, sposata e con figli. Ha fatto la fuitina con il figlio del macellaio, un buon partito, e in fondo va bene così perchè “di scuola non ne voleva” e dunque non poteva aspirare ad altro che al matrimonio. Mi chiede di me. Non so che dire. Mi infastidisce l’invadenza. I suoi occhi mi giudicano fino in fondo. Vuole togliermi la pelle di dosso per farsi un vestito della domenica da indossare per stare meglio con se stessa.
Ha una parlata volgare. C’è modo e modo di parlare in dialetto. Lei parla come se dovesse fare la parodia di un tamarro di periferia. Tutto di lei mi consola. Mi autorizza a esistere perchè le sue imperfezioni probabilmente anticipano le mie e quelle di tante altre.
Non riesce a girarci intorno a lungo e mi presenta la sua teoria sulle nuore che non danno confidenza alle suocere. Suo figlio è “fidanzato” ufficialmente con una ragazza che lo invita spesso a passare il tempo da lei. Aveva avuto un’altra ragazza più “amurusa“, affettuosa, più disponibile a stare con la suocera.
Mi intrattiene con la enunciazione del teorema della nuora che per la suocera diventa la figlia che non ha mai avuto. Le dico che lei però una figlia ce l’ha. Allora cambia tono, smette quelle confidenze complici e assume aria formale e distaccata.
Certe donne non sono più profonde di un tombino per lo scarico delle acque nere. Non so mai se vale la pena scavare oltre per capire se possono avere qualcosa di affascinante, interessante, da dire a parte l’apparenza. La signora Nunzia mi sembra semplicemente una rozza sommatoria di stereotipi e luoghi comuni, frasi fatte e pregiudizi. Mi sembra pateticamente dominata da slogan di pubblicità e frasi da telenovelas. La immagino a passare il tempo davanti alla televisione mentre prende appunti ad ogni trasmissione misogina di rita dalla chiesa o di altre nei pomeriggi tv.
La immagino protagonista di una testimonianza televisiva mentre piagnucola veleno sulla nuora che non se la caga oltre il necessario.
Aggiunge solo, con un certo disappunto, che la nuora la chiama per nome. Non la chiama “mamma” e io mi ricordo che neanche io ho mai chiamato “mamma” nessuna a parte mia madre.
Provo a cambiare argomento di conversazione cercando qualche spunto interessante per le mie ricerche socio/antropologiche. Chiedo come ha conosciuto mia madre ed è a quel punto che Nunzia assume di nuovo quella espressione quasi cameratesca tipica di un soldato che riconosce i gradi ad una generalessa.
Sono state vicine di casa, entrambe appena sposate. Nunzia a quell’epoca aveva tutt’altro aspetto. Ci tiene a farmi vedere una fotografia e mi racconta che la suocera si era piazzata in casa sua sin dalla prima notte.
I primi tempi furono durissimi perchè lei aveva grossi problemi a relazionarsi con il marito e la presenza della suocera certamente non aiutava. Mentre mi racconta questo dettaglio ci tiene a dire che lei comunque è una suocera “discreta”, tutta un’altra cosa rispetto alla madre di suo marito.
Una notte suo marito le fece molto male e sua suocera lo sostenne per quella rivalità odiosa che spesso si instaura tra donne. Nunzia scappò da casa e andò a bussare da mia madre. Fu accolta e consolata mentre mio padre andava rispettosamente a comunicare al marito dove lei si trovasse.
Nunzia non voleva più tornare indietro. Mia madre ha sempre avuto, e ne ha avuto fin troppo, una foga accentratrice da “penso a tutto io” e nel giro di ventiquattro ore assolse al ruolo di aggiustatrice delle vite altrui assumendosi la responsabilità delle conseguenze.
Riuscì a negoziare il rientro di Nunzia a casa a patto che la suocera andasse ad alloggiare presso altri figli. Era sufficiente un marito stronzo senza la presenza di una clac attaccata alle costole.
La suocera fu costretta a fare i bagagli e ritornò a pesare sul groppone della nuora solo quando fu vecchia, malata e bisognosa di cure.
“Tua madre faceva diventare oro tutto quello che toccava.” mi dice. E non è la sola a testimoniare questa verità incontrovertibile. Una donna capace che per anni fece sentire inadeguato mio padre troppo misero di fronte a tanta grandezza, troppo umano di fronte a tanta perfezione. Mia madre cambiava le vite delle persone con cui entrava in contatto. Mieteva successi, controllava percorsi, quelli degli altri, e nel frattempo nascondeva al mondo i suoi problemi perchè la perfezione non può avere attimi di esitazione.
Mia madre era riuscita a liberarsi di una suocera estranea e non riuscì mai a liberarsi della sua. Nunzia mi fornisce perciò un altro tassello mancante. Mentre confida la sua gratitudine e descrive quella sorellanza mi intenerisce. Sono commossa al pensiero di quella donna, mia madre, che si affaticava a salvare le apparenze, intenta a sembrare wonder woman, come dovevano essere le donne cresciute negli anni ’50. La capisco un po’ di più mentre la ricordo dispiaciuta, quasi disperata, per i cedimenti “umani” che la nostra famiglia imperfetta manifestò in più occasioni.
Lei era l’aggiustatrice, rimetteva le cose a posto. Non tollerava che qualcuno rompesse l’equilibrio che faticosamente ricomponeva. Era tutrice della sua famiglia e diventava tutrice quasi autoritaria delle famiglie che salvava.
Capisco ora perchè per anni mi sono sentita in colpa ad essere assolutamente più sbracata di lei. Mi sento molto più vicina a Nunzia, con i piedi deformi, lo sguardo pieno, la parlata in stile mediaset che sostituisce un vuoto di relazioni e di rumori vitali che non esistono più, e un milione di debolezze e imperfezioni che provano a prendersi il diritto di esistere in un mondo che vuole tutte e tutti perfetti.
La sicilia delle donne è anche questa. Pezzo per pezzo, ve ne ho regalat@ ancora un po’.
—>>>l’immagine viene da qui