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Minuzza

Minuzza, la chiamavano, da Filomena. L’hanno seppellita ieri e per disgrazia è finita nel casciolo vicino a quello dell’odiato marito.

La sua vita me l’ha raccontata la nipote, una vecchia compagna di scuola, di quelle che sono rimaste in paese a farsi la famiglia mentre le altre dopo il diploma sono andate tutte all’università.

Minuzza faceva collezione di parole, come io faccio collezione delle storie delle donne, perché era convinta che conoscerne centomila era meglio che conoscerne cento.

Suo marito invece ne conosceva poche e quando Minuzza ne pronunciò una più del necessario le mostrò di cosa era fatto l’odio.

Perciò lei segnò in un quaderno le frasi che poteva dire senza conseguenze e custodì in testa tutte le parole pericolose.

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Rosaria

Rosaria è donna legata alla terra. Ancora oggi la vedi caricarsi come un mulo e distribuire le cassette di frutta e verdura in una stanza di venti metri per quattro che lei chiama negozio.

Si sveglia presto, all’alba, e quando sento il rumore della motoape che si allontana in discesa dalla strada so che c’è anche lei, con i capelli raccolti, un pantalone scuro e un giaccone verde militare che prende in prestito dal marito.

Lui è un uomo senza età. Lo ricordo con le rughe da sempre. Lei invece ha la pelle liscia, naturalmente abbronzata, che crea un magnifico contrasto con gli occhi verdi e i capelli castani.

Ha un ciuffo bianco. Lei dice che la fa più bella e in effetti è vero. Le mancano tre denti, due molari, quelli più in prossimità dei canini, e uno in basso. Lei dice che un sorriso senza finestre è come una vita senza ossigeno. Perciò lei ha la risata che respira.

Il mignolo della mano destra manca di una falange. Lei dice che se l’è tagliata mentre preparava l’arrosto per pasquetta, ma qui tutti sappiamo com’è andata.

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