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Rosaria

Rosaria è donna legata alla terra. Ancora oggi la vedi caricarsi come un mulo e distribuire le cassette di frutta e verdura in una stanza di venti metri per quattro che lei chiama negozio.

Si sveglia presto, all’alba, e quando sento il rumore della motoape che si allontana in discesa dalla strada so che c’è anche lei, con i capelli raccolti, un pantalone scuro e un giaccone verde militare che prende in prestito dal marito.

Lui è un uomo senza età. Lo ricordo con le rughe da sempre. Lei invece ha la pelle liscia, naturalmente abbronzata, che crea un magnifico contrasto con gli occhi verdi e i capelli castani.

Ha un ciuffo bianco. Lei dice che la fa più bella e in effetti è vero. Le mancano tre denti, due molari, quelli più in prossimità dei canini, e uno in basso. Lei dice che un sorriso senza finestre è come una vita senza ossigeno. Perciò lei ha la risata che respira.

Il mignolo della mano destra manca di una falange. Lei dice che se l’è tagliata mentre preparava l’arrosto per pasquetta, ma qui tutti sappiamo com’è andata.

Ha quattro figli. Il più grande va alle medie. Quando Rosaria esce a lavorare la terra restano con la suocera che vive con loro.

La suocera è una povera donna cieca da un occhio a causa del diabete. Lei dice che le è calato sullo sguardo un velo di zucchero, per vedere il mondo un po’ più dolce.

Si chiama Mariannina e non posso non chiederle quando la vedo “che ti dice oggi il tuo occhio amaro?”. E lei risponde come sempre: “non l’ho portato a spasso, chè si strapazza”.

Rosaria ha pochi anni più di me ed è già vecchia. Suo marito l’ha ingravidata molte volte, le ha tagliato una falange quel giorno in cui la voleva accoltellare e lei tentava di difendersi, le ha spezzato i denti, le ha fatto venire il ciuffo bianco.

Con lei non puoi parlare di queste cose direttamente perché non conosce il linguaggio della denuncia. Le hanno insegnato che deve essere sempre contenta, che deve dire che va tutto bene.

Però ogni tanto ti concede un sospiro, uno sguardo di complicità, un abbraccio di sensi durante i quali ti regala la sua memoria e la sua poesia.

Una sera trovò il mio ex davanti alla mia porta. Urlava insulti e minacce. Cercava di entrare.

Rosaria chiamò la suocera. Un sorriso in grado di respirare e uno sguardo che trasforma l’amaro in dolce. Stregonerie di sopravvivenza. Lo portarono via e non so cosa gli dissero perché da quel momento lui non si fece più vedere.

Un’altra volta che sua suocera era all’ospedale mi disse di tenere i bambini perché lei doveva discutere con il marito.

“Ne sei sicura?” – le chiesi. “Si” – rispose lei in un tono che non ammetteva repliche.

Quando tornò a riprendersi i figli, aveva già riparato le ferite e aveva messo su la pentola per la pasta.

Io non capisco, sinceramente, la natura del rapporto che lei ha con suo marito. La vedo a tentare di dare un tetto e un pasto ai figli, spaccarsi la schiena su una terra che legalmente non le appartiene e poi in casa dove lei continua a lavorare mentre il marito “riposa” o la insulta e le dice che così brutta com’è, con il ciuffo bianco, i denti rotti, senza un dito, non se la prenderebbe nessuno.

Ed è per questo che ogni volta che lo vedo, ed è l’unica cosa che lei mi permette di fare senza silurarmi con una occhiata, gli dico scherzando se non c’ha ripensato perché sua moglie la prendo io, anzi mi dispiace che lei non voglia prendere me.

Certe volte è così che bisogna fare, in silenzio, senza eccessi e senza forzature. Si può solo essere testimoni di quello che succede a due passi da te, lasciando che le donne vivano e scelgano, di andarsene o restare, e accettando quella scelta come una custode accetta il libero arbitrio degli umani.

Certe volte è così che bisogna fare, perché l’importante è esserci, fare sapere che ci sei e non avere ragione a tutti i costi…

Posted in Racconti 2010, Racconti palermitani, Storie violente.