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Sicilia: una storia di merda

In Sicilia ci sono luoghi dove il tempo sembra non passare mai. Il sole è caldissimo. Fa belle abbronzature anche se solo si cammina per strada o si stendono i panni ad asciugare. Ci sono donne di qualunque età vestite a lutto, con il nero che assorbe l’afa, che siedono dinanzi alla porta di casa. Che abbiano quindici anni o sessanta non fa differenza. Sembrano tutte uguali, con un diametro superiore alla media e la medesima espressione stampata sul volto. Tutte in fila sul marciapiede, occupando spesso ampie porzioni di quelle vie che lavano, puliscono e dunque in fondo un po’ gli appartengono.

Una automobile che vuole passare deve chiedere permesso e i pedoni invece diventano oggetto di chiacchiere e sguardi fissi che li accompagnano fino a vederli svanire all’orizzonte. Quello sguardo muto, pettegolo, curioso è una costante di questi posti. Sono tutte lì, una porta dietro l’altra, una sedia dietro l’altra a imbarazzare i tragitti di chi non è abituato a dover dire buongiorno e buonasera ad ogni sconosciuta guardona. Hanno occhi che non si mortificano mai, che non tentano di dissimulare la taliàta. Tutte alla parete come gendarmi. Chi passa sta al centro: dead man o woman walking del sud. Se avessi un lanciafiamme vorrei vederle contorcersi e finire tutte quante in un’unica fiammata.

Strade e stradine profumano di gelsomino, quello che si usa per fare il gelato o per dare quello straordinario aroma che fa unico, anche se parliamo di un’altra sponda dell’isola, il gelo di mellone. Dal bar viene il profumo intenso della brioche morbida col cocuzzolo. E’ la brioche siciliana che si mangia con il gelato o si inzuppa nella granita. A me piace quella alla mandorla con uno schizzo di pistacchi croccanti a ornare quel meraviglioso premio per il palato. Lo stesso pistacchio e mandorle che ornano e insaporiscono la mustàta, una soffice crema di mosto addensata con la cenere dei rami di vite, o si insinuano assieme a canditi e gocce di cioccolato fondente nei cannoli alla ricotta. La bottega vende la cioccolata al peperoncino, quella alla cannella, alla carrubba, all’arancia, al limone.

C’e’ un piccolo porto dove si trovano all’alba i pescivendoli per spacciare il pescato e riempire di altri profumi le narici dei turisti. Poi c’e’ il mare limpido. Azzurro intenso, verde, celeste, schiarito dai fondali chiari. Ci sono chilometri di spiagge rossicce, con la sabbia simile al deserto, tenera al tatto, morbida per riposare o passeggiare a piedi nudi.

Sotto gli alberi delle piazzette barocche siedono uomini anziani. Vengono fuori come le lumache dopo la siesta, mentre tutto sonnecchia e si sente in lontananza solo il rumore del mare. Spesso sono vedovi di defunte “Maria Concetta Di Dio in Occhipinti fu Salvatore”. Hanno gli occhi svelti e anche loro contano le passanti per cercarne il saluto. Le cercano giovani e piacenti per offrirsi in matrimonio assieme a figli, nipoti e una piccola casa che i discendenti non mollerebbero mai a nessuno. Gli uomini più giovani e non ancora sposati, che non si sono mai mossi dal paesello, che non hanno proseguito gli studi e ampliato il proprio bagaglio di saperi in città – dove si trova l’università – lavorano nelle serre a coltivare pomodori e chissà che altro. Sono sempre abbronzati e hanno muscoli duri e mani tozze.

Sono tamarri che falliscono gli abbordaggi in spiaggia, in discoteca e lungo il corso dove si svolge il passeggio serale. Quasi non sanno parlare l’italiano e le ragazze invece come minimo hanno preso il diploma pronte a tentare il salto della scala sociale per farsi sposare da un laureato medico o avvocato o da un impiegato statale. Così a questo tipo di uomini non resta che cercare tra le donne messe in fila assieme alle madri e alle nonne, a ricamare il corredo nella speranza di vedere passare il loro principe azzurro in groppa ad un bel vespino smarmittato o ad una utilitaria con stereo e casse enormi e la scritta “turbo” sui lati. I più coraggiosi possono intraprendere relazioni online grazie all’unico internet point locale con cabine caldissime e tastiere schiarite dal troppo sudore. In questo posto la chat con le donne dell’est è sempre online. Quasi sempre nude e provocanti, che sperano di essere agganciate da uno di questi fantasiosi agricoltori per avere una carta di ingresso per l’Italia o per trovare un allocco disposto a spendere soldi per comprarsi un po’ di felicità. Come se la tecnologia fosse arrivata solo per portare un po’ d’amore.

Vicino alla Piazzetta si trovano i circoli per le giocate a carte degli associati, sempre e solo uomini. C’e’ la chiesa con il prete che celebra messa e la gente che si inginocchia in preghiera vestita di tutto punto, con visibili chiazze di sudore ovunque e con la veletta in testa. Chissà se esistono chiese con l’aria condizionata.

Sulla spiaggia ogni tanto si vede qualche musulmano prono a dirottare preghiera e attenzione verso il sole al tramonto. Gli arabi in questi posti sono tanti. Arrivano a nuoto, in barca, qualche volta già defunti per fame, annegamento o perché erano in sovrappiù nel barcone degli scafisti. Il venerdì è giornata di mercato e oramai gli stranieri hanno quasi completamente sostituito i mercanti locali. Non che si veda tanto la differenza giacchè quelli dell’africa settentrionale o del medioriente non sono poi così diversi dagli uomini della popolazione indigena. Persino il linguaggio, i gesti spesso si somigliano.

C’e’ un piccolo cinema dove si fa una rassegna estiva di seconde o terze visioni e qualche “anteprima” rubata al circuito nazionale per fare contenti i turisti. Nei film spesso si vedono celebrazioni che qui esistono solo per questioni di importazione. Altri mondi e altre culture che
hanno finito per colonizzare questa assolata mentalità. Qui non esiste Halloween perché i morti non fanno paura e anzi portano i giocattoli e tante cose buone ai bambini la notte di tutti i santi. Poi ci sono le sagre paesane: quella del pesce, della seppia, del polipo, del granchio, delle cozze, della ricotta. Ultimamente è arrivata anche la sagra della pizza con le sue focacce, le scacce con il pomodoro e le cipolle, con la ricotta e gli spinaci. Ogni anno c’e’ poi l’uscita della santa o del santo patrono con tanto di processione e di dediche e canti.

Ci sono questi borghi marinari che un tempo vivevano di pesca e ora fanno solo finta di esistere per accogliere turisti appassionati di scene esotiche e paesaggi intatti, con i mestieri di una volta recitati da consumati attori che impersonano i siculi del passato per questione di convenienza. Da queste parti le città più vicine sono paesi con più di quindicimila abitanti. Per trovare un po’ di civiltà bisogna andare lì dove c’e’ un ospedale, un’edicola un po’ più fornita, magari persino una libreria con gli ultimi best seller, qualche fermata in più per la corriera o l’autobus che permette fughe verso città più grandi solo un paio di volte al giorno, la stazione di polizia e dei carabinieri, le scuole primarie secondarie e persino qualche corso di specializzazione parauniversitario voluto dal parlamentare di zona. Di treni neanche l’ombra. Si fa prima a circumnavigare l’isola a nuoto per arrivare a prendere il traghetto in corsa sullo stretto di Messina o per sperare di essere raccolti come immigrati clandestini dalla guardia costiera per rintracciare il primo treno che viaggia per il continente.

Nel borgo invece c’e’ il palazzo che ospita la delegazione comunale, una minuscola biblioteca e qualche mostra. Poi c’e’ l’ufficio postale, una guardia medica, una farmacia, qualche fruttivendolo, un supermercato, un tabaccaio e un bancomat perennemente esaurito.

A qualche chilometro di distanza esiste la simulazione di una specie di parco acquatico dei divertimenti, alcuni campeggi e alberghetti, residence e bed & breakfast, ristoranti, pub e un paio di grosse discoteche che spesso ospitano personaggi a me sconosciuti che vengono dritti dritti da qualche squallido reality show.

Le spiagge sono spesso libere, nel senso che non ci sono lidi privati. A pulirle, nei mesi estivi, ci pensano ragazzi e ragazze dei campi internazionali del lavoro. Robe ecologiste di incontro tra gente di nazionalità diversa che viene ospitata in una scuola primaria e ogni mattina all’alba camminano per chilometri lungo le spiagge per tirare via ogni pezzetto di plastica e ogni cicca di sigaretta visibile. Di spiagge ce ne sono tante per lo più ricavate da file di grossi massi piazzati apposta per rallentare l’erosione delle coste. Quelle immediatamente vicine al paesetto sono stracolme di famiglie con bambini e adulti di ogni tipo.

Io sono un po’ snob e non sopporto di sentire le amenità dette da qualcuno di loro. Non sopporto gli strilli e le risate sguaiate e soprattutto odio i bambini e quei grandi idioti che giocano a palla e te la tirano inevitabilmente addosso. Mi piacerebbe avere un coltello per squarciarla tutta intera non appena mi capita sotto mano. Odio anche quei deficienti che se pure hanno a disposizione centinaia di metri di spiaggia devono proprio venire a frantumarti la vita con generose spruzzate di sabbia, fango o acqua gocciolante. Senza contare poi quelli che giocano a lanciarsi le secchiate di liquido che quasi sempre finiscono addosso a quelle come me che:

a- non avevano alcuna voglia di giocare;

b- non avevano nessuna voglia di bagnarsi.

Tutt’attorno, per le campagne si vedono terreni recintati da muri fatti di pietre bianche perfettamente incastrate tra loro. In passato tanti contadini dovevano disossare da quelle stesse pietre i propri pezzi di terra prima di poterli coltivare, così finirono per farci i recinti e anche
tanti originali e tipici guard-rail di bianco splendente.

La pietra bianca è famosa anche per le pietre di Pantalica, dove stavano le costruzioni e le tombe bizantine. Ci sono almeno due province siciliane che usano queste pietre per dare un contorno e una particolare cromatura ai terreni giallastri, arsi dal sole di grano raccolto e di palle di fieno. Di pietra, paesaggio giallo e rossastro e fichi d’india è fatto il percorso che viaggia da Ragusa a Siracusa, da Santa Croce Camerina a Comiso, da Avola a Noto, da Vendicari a CapoPassero.

In questo pezzo di Sicilia meravigliose spiagge prendono nomi come Punta Secca, Punta Braccetto, Caucana, Donna Lucata, Micenci e Cava D’Aliga, Ispica e Sampieri, Pozzallo, San Lorenzo e Vendicari. Posti meravigliosi con un passato di lotte contadine e di gente mandata al confino, di donne coraggiose e di occupazione fascista, di sbarco degli americani e di bombardamenti, di fame e povertà. Gli assessori al turismo dei Comuni dei dintorni però preferiscono dire che questi sono i paesi del commissario Montalbano piuttosto che dei tanti che hanno sacrificato la vita per ottenere riparo a qualche ingiustizia. Questione di immagine e di ignoranza degli amministratori.

Una storia di merda

Capita sempre quando vengo da queste parti: mi viene la diarrea. Non perché il posto faccia cagare, tutt’altro. E’ l’ideale per sentirsi un po’ fuori dal mondo e godersi un buon bagno dentro qualcosa che abbia ancora l’odore, la consistenza e il sapore del mare. Mi succede che cambio alimentazione e metabolismo e sono costretta a stare per almeno una settimana a contorcermi e a cercare di restare il più possibile in zona cesso.

Qualche volta devo correre dalla spiaggia a casa per evitare di farmela addosso. Stavolta però questa storiaccia non aveva intenzione di smettere. Anzi era sempre peggio e un bel giorno mi venne la febbre accompagnata da fortissimi crampi allo stomaco. Dopo un paio di giorni la questione riguardò anche mia figlia e poi mia madre e fu così che mi resi conto che forse c’era qualcosa che non andava. L’immagine successiva riguarda tre donne, diversa generazione ma uguale incazzatura, con passo veloce e cacca liquida incombente, che si precipitano dalla guardia medica.

Troviamo un giovanissimo medico allenato a farsi i cazzi suoi e a riferire a memoria quanto altri gli hanno ordinato di dire. Fa due punturone di antispastico a me e a mia madre. Poi prescrive a tutte noi un bell’antibiotico antivirale e tanta fantastica enterogermina per ripristinare la flora batterica. Chiediamo di che si tratta e ci dice che boh, forse è il mare, un’alga tossica, oppure è una roba di origine virale magari contagiosa, una cosa di tipo oro-fecale e ci consiglia di non usare l’acqua del rubinetto neppure per cucinare.

Ci dice anche di non mangiare frutti di terra intrisi d’acqua come il melone, l’anguria o cocomero che dir si voglia e cose del genere. Usciamo da quel posto più confuse che persuase e soprattutto preoccupate perché la quarta donna della famiglia ha un problema mica da niente: è paraplegica e se prende a cagarsi addosso rischia di prendere ogni genere di infezione e lesione per i repentini e frequenti cambi di cateteri cui sarebbe costretta. La questione comunque era che avevamo bisogno urgentemente di sapere come minchia fare a non fare prendere questa cosa X virale a mia sorella.

Oltretutto eravamo un po’ incazzate, perché il dottore ci aveva detto che la storia durava da più di un mese e quando gli abbiamo chiesto cosa ci consigliava di fare, per evitare il problema, quello ci ha fatto chiaramente segno con la mano di andarcene. Il punto dunque era che tutti sapevano di questa cosa, a tal punto che in farmacia i farmaci adeguati alla cura del problema erano andati esauriti e quelli propinavano altre marche con lo stesso principio attivo. Tutti sapevano, ma nessuno voleva dire nulla di ufficiale per impedire che il virus contagiasse altra gente.

Decisi di andare ad indagare un po’ e provai a chiedere al personale della delegazione comunale per sapere se ne sapevano qualcosa o se fossero state lasciate loro disposizioni in merito alle informazioni da dare alla cittadinanza. Nessuno sapeva nulla, anzi risero e furono sorpresi che qualcuno andasse a chiedere informazioni su una cosa che si preferiva lasciare al fato. Uno mi disse che persino l’assessore al ramo era a casa con gli stessi sintomi. Chiedo un po’ in giro e la gente dice che si tratta di una cosa che ha colpito un po’ in tutta la costa e che nessuno sa più di quello che sapevo io.

Scena successiva: siamo in quattro, una quest di tutto rispetto, tutte munite di assorbenti, pannolini e pannoloni, a seconda della tipologia e quantità di liquidi e sostanze coagulate che ciascuna di noi ha la sfiga di far gocciolare, espellere, sputare fuori, perdere. Facciamo un po’ di chilometri e alla guida di una macchina con il cambio automatico c’e’ la mia sorellina. Solita trafila per il trasferimento del suo culo sul sedile dell’auto. Pieghiamo e riponiamo nel cofano dell’auto la sua sedia a rotelle e poi si parte.

Arriviamo al paese/città vicino dove c’e’ un ospedale del quale my sister è cliente fissa per ogni sorta di rifornimento e controllo. Dentro ci troviamo anche un bell’ufficio igiene momentaneamente chiuso. Una dottoressa è così gentile da farci entrare e ci mette in contatto con il responsabile sanitario dell’ufficio igiene del comune che ci riguarda. Mia sorella gli chiede gentilmente, dato che è paraplegica e vorrebbe evitare complicazioni che la costringerebbero in cura o in ospedale per lunghi periodi, se ha delle informazioni più precise riguardo il virus che sta contagiando tutti nei borghi lungo la costa. Il tipo si chiama M.M. e risponde con tono sarcastico.

Prima chiede a mia sorella cosa ci fa una paraplegica lì e come ha fatto ad arrivarci, come se sconoscesse totalmente le possibilità riabilitative delle moderne unità spinali e la possibilità d’uso delle auto per disabili. Mia sorella appare accigliata e si che ne ha viste davvero tante e ha dovuto subire monache e preti o finti civili di pronta fede cattolica che volevano perennemente convincerla che il suo male era una specie di dono di dio e doveva goderselo con gioia infinita. Il dirigente continua con il tono a sfottò e chiede da chi avesse avuto lei quelle informazioni, di cosa stesse parlando e se per caso non avesse fatto una sua personale, privata indagine statistica che le desse elementi così certi, tanto da farla parlare così.

La dottoressa presente, nel frattempo, intuendo il tono della conversazione scuoteva la testa mortificata. Mia sorella insiste dicendo che è un problema che non si può ignorare e che alla guardia medica nove casi su dieci riguardano questa cosa. La conversazione infine si chiude senza molti convenevoli. Il tipo dopo qualche giorno si mette in ferie lasciando la patata bollente ad una sostituta.

Intanto in casa non si fa altro che mangiare riso in bianco e solo così ci rendiamo conto di poter evitare di defecare, anzi gocciolare merda, e vomitare dalla mattina alla sera. Io cammino a chiappe strette e riesco a trovare una postazione nell’unico e affollatissimo internet point dal quale continuano ad uscire uomini grassocci, corpulenti e dallo sguardo arrapato e soddisfatto dopo una sequenza di sesso virtuale con una di quelle donne che scrivono in una lingua fatta di troppe consonanti. Mi fa un po’ senso sedere al posto dell’ultimo eiaculatore solitario da cabina. Spalanco la tenda per non sentire il puzzo di sudore e mi ritrovo davanti la schermata con una bella femmina vogliosa e tutta nuda che chiede in lingua inglese di poter chattare con qualcuno.

Rispondo di avere urgenti problemi di cacca e di non poter stimolare nulla che sia in prossimità del nervo vago, altrimenti non mi sarebbe sufficiente il pannolino raccogli perdite. Chiudo la comunicazione e scrivo una mail a tutti i maggiori rappresentanti istituzionali comunali e provinciali della zona e ad una mia cara amica che forse può aiutarmi a denunciare il problema e ad evitare a mia sorella di prendere il virus. Cerco anche il sito della Asl del territorio per vedere se qualcuno nel frattempo non abbia avuto la bontà di scriverci due righe di comunicato per spiegare di cosa si tratta e come fare ad evitarlo. Nulla. Solo dieci righe che tranquillizzano su certe voci che girano sulle alghe tossiche che stanno in una zona XY e precisano che la questione è sotto controllo e che il mare è balneabile. Esco dall’internet point, arrivederci e grazie e vado via.

Resto chiusa in casa per qualche giorno, con la febbre e scariche frequenti, e quando la storia mi da tregua esco di nuovo e torno a vedere se qualcuno degli esimi rappresentanti della zona mi ha degnato anche solo di una misera risposta. Altro arrapato, altra donna nuda, stessa trafila ma niente sulla mia casella di posta.

Altra scena: io e mia figlia andiamo al mare. Mia madre sta ancora così e così e mia sorella, pur non avendo al momento problemi di perdite cagherecce, non può comunque venire con noi perché da queste parti non c’e’ nulla che sia attrezzato per permetterle di arrivare in spiaggia e fare un bagno. C’e’ una specie di pedana che arriva quasi fino al mare sbilenca, piena di storture e buchi e buchetti che per una sedia a rotelle possono essere fatali. Arrivata laggiù però lei dovrebbe aspettare che qualcuno la prenda in braccio e, catetere in spalla, la immerga in acqua senza poterla lasciare mai.

Nulla di divertente. Perciò lei a mare non viene e si gode l’afa terribile che la investe sul terrazzo di casa. Dicevo, comunque, che io e mia figlia siamo andate al mare ed è a quel punto che mi ha telefonato la mia amica, che ha telefonato al deputato regionale di zona, che avrebbe parlato con il sindaco e mi avrebbe fatto richiamare presto. Dopo un po’ mi chiama niente po’ po’ di meno che il sindaco F. in persona dicendomi che il deputato tizio e la signora caia sono stati interpellati da me per saperne di più sulla questione.

Spiego qual e’ il problema è, dimostrando di essersi informato, mi legge dai suoi appunti che si tratta di un virus blah blah (non perché non abbia capito ma perché non mi ha spiegato bene il nome) a trasmissione oro-fecale con un 15% di trasmissibilità e contagio. Mi dice, precisando che prima di essere un sindaco è un medico, che c’e’ stato un versamento di liquidi (presumo acque nere, di fogna insomma) nella rete idrica il giorno tot (dopo un mese dall’inizio delle prime avvisaglie di contagio) ma che tutto era rientrato dopo 48 ore.

Mi dice di stare attenta all’igiene, di evitare l’uso dell’acqua del rubinetto e di non mangiare frutti pieni di acqua e verdure crude. Io riferisco delle conversazioni avute con medici e con il dirigente. Mi risponde che da queste parti evidentemente i medici non amano assumersi delle responsabilità. Chiedo se sono stati fatti esami e mi dice che si fanno prelievi frequenti. Chiedo allora come mai non è stata avvisata la gente prima che il virus prendesse a diffondersi in questo modo e se mai faranno locandine, volantini, manifesti per spiegare come evitare il contagio. Mi dice che in fondo si è trattato solo di qualche giorno di diarrea e io rispondo che a molte persone me compresa la cosa, tipo una gastroenterite spastica, è durata per dieci giorni con febbre altissima e vari sintomi e che per quello che ne sapevo io poteva anche trattarsi di tifo.

Solo nel terzo mondo, e qui evidentemente lo siamo, si evita di informare la gente di un fattore di contagio così elevato per così tanto tempo. Il sindaco poi mi dice che in questa zona l’informazione va più lentamente. Me lo spiega quasi come fosse un fatto ineluttabile e fisiologico. Mi da poi i saluti per la signora e il deputato, che io avrei poi riferito per dire che il sindaco aveva fatto il suo dovere, e mi dice che dopo una quindicina di giorni sarebbe stato diffuso del materiale informativo. Rispondo che ringraziavo per l’informazione data a me (personalmente) e che speravo fosse riservata la stessa possibilità anche agli altri cittadini. Passano giorni e settimane e ne’ alla guardia media, ne’ in farmacia e tantomeno in altri luoghi è mai stato affisso nulla che riguardasse il problema.

Mia sorella è allora tornata alla carica richiamando l’ufficio del dirigente sanitario. Ha risposto la sostituta cortese e preparata. Ha dato le informazioni di cui disponeva e affermava di stare monitorando la situazione. Niente informazione al pubblico, quindi, a meno che il pubblico non faccia una telefonata nei luoghi giusti o non disturbi persone che possono occuparsi di questi problemi ad altri livelli. Conclusione: abbiamo smesso di cagare e mia sorella non ha preso il virus. Si trasmetteva anche usando le stesse posate o sedendosi sulla stessa tavolozza del cesso. Mia sorella si è salvata perché abbiamo corretto l’alimentazione, abbiamo smesso di usare l’acqua del rubinetto, lei non usa mai la posata di qualcun’altro e certamente non può mai sedersi in nessuna tavolozza del cesso. Che culo, eh?

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