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La resistenza di Marianna

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C’era questa ragazza che abitava in una casa di campagna, come era d’uso a quei tempi, perché i genitori facevano i contadini e lei stessa lavorava la terra. Marianna, si chiamava. Quando arrivarono i nazisti, presero suo padre e i suoi fratelli e la lasciarono sola. Sua madre non contava. Quella donna aveva poco coraggio.

Senza un uomo in casa
si fecero vivi i banditi. Rubavano tutto quello che c’era da rubare. Frutta, verdura. Farina, soprattutto. Quando provarono a prendersi la bestia, un mulo vecchio e stanco, Marianna sfuggì alla presa impaurita della madre e si precipitò a difendere il suo unico bene.

Dei banditi ce n’era uno che conosceva bene. La guardava sempre quando lei passava a vendere le uova alla casa della baronessa. C’era anche quella sera e ne approfittò per fare quello che fanno gli uomini quando le donne sono indifese. “Poi torno e ti sposo” le diceva. “Quando finisce la guerra, torno e ti sposo!”.


Lei pianse poco. Non c’erano lacrime a quei tempi. Bisognava tenere tutto di riserva. Raccolse i capelli con un fermaglio e aspettò che gli uomini andassero via. Per tutto il tempo, mentre quello incassava il credito per il suo ruolo nella storia, lei non lasciò mai andare la corda che legava il mulo.

Il partigiano tornò ancora e Marianna gli disse che non avevano più niente da dare alla resistenza. Allora lui si arrabbiò e pretese di essere guardato con rispetto. Teneva il fucile puntato sul mulo. Aveva capito che per quell’animale lei avrebbe fatto qualunque cosa.

Marianna si inginocchiò a pregarlo e anche quella volta trattenne le lacrime. Nel frattempo arrivò la guerra, quella vera, e le bombe non risparmiarono nessuno.

I primi a frugarle la pelle furono di nuovo i fascisti. Sparavano senza criterio. Come se tutti fossero nemici. Poi arrivarono i fuochi della liberazione, anche quelli sparavano dove capitava e di nuovo Marianna si sentì in pericolo.

Un giorno l’uomo della resistenza arrivò con tutta la brigata. Sapevano niente loro di come sarebbero andate le cose. Però decisero di fermarsi in quella casa di campagna e lui fece del luogo dello stupro il suo giaciglio.

Marianna non sapeva se odiava di più l’uomo nazista che le aveva rubato il padre, quello americano che era arrivato a “liberarla” o quell’altro partigiano che diceva di difenderla.

Avrebbe voluto ucciderli tutti, uno per uno. L’ultimo in particolare. L’occasione le si presentò quando lui arrivò ferito e lei fu chiamata a curarlo. Non c’era granchè da fare. Bastava lasciar correre l’infezione e quello se ne tornava all’inferno da dove era venuto.

Invece lo curò e si affidò a lui per tenere i nemici lontani dalla casa e dal mulo. Quando la guerra ebbe termine, lei si sentì salva solo per un attimo. Subito dopo il partigiano, sopravvissuto anche lui, tornò e la stuprò di nuovo.

Marianna pensò che in tempi di guerra anche un nemico può diventare l’amico più grande. Quell’uomo della resistenza aveva compiuto parecchie offese. Ce n’erano altri come lui, disposti a rivestire di nobili ragioni il proprio istinto di violenza. Tutti contendevano la proprietà di territori, simboli, persone, cose.

Tutti potevano uccidere, derubare, ferire perchè c’erano altri uomini, stranieri, che erano venuti a fare pressappoco la stessa cosa. I nemici di ogni giorno si sentivano salvi dalla presenza dei nemici della domenica. I nemici stranieri trasformarono quelli del posto in amici per la pelle. Perciò tutti dissero che gli altri avevano bisogno di loro.

E in qualche modo era vero. Le guerre capitano come le giornate di pioggia. Se ti bagni provi a trovare riparo nel primo luogo che intravedi nella tempesta. Quella guerra era fatta di rumore e pioggia. Di freddo e fuoco. Marianna non l’aveva capita e chissà se ne avrebbe mai capite altre.

In tempi di guerra
un nemico diventa forse l’unico amico. Poi però la guerra finisce. Allora lei prese il vecchio fucile di suo padre e proprio quel giorno sparò dritto in faccia al partigiano.

La resistenza, quando non c’e’ più niente al quale resistere, qualche volta si vede per quello che è. Perciò bisogna ucciderla, altrimenti con la scusa di difenderti continuerà a tenerti schiava per tutta la vita. Non ci sono santi e non ci sono eroi. Ecco tutto.

Marianna non consegnò nessuna medaglia. Ammirò quelli che si difesero da tutti, come aveva fatto lei. Ma non è quella la resistenza che sarebbe stata premiata con celebrazioni e riti, riconoscimenti e cerimonie.

La resistenza di Marianna fu un fatto privato. C’era solo il mulo che l’aveva condivisa con lei. Sua madre, invece, era riconoscente al partigiano e non capì il perchè la figlia l’avesse ucciso. Così la chiamò pazza e morì di vecchiaia con questa convinzione.

Posted in Antiautoritarismo, Racconti 2009.

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