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La badante alla quale proibivano di suonare la chitarra

Ilenia è straniera e fa la badante. Ha un nome complicato e si è ribattezzata con quello che per lei ha il suono più gradevole.

Da quando sono tornata dice che finalmente ha qualcuno con cui parlare. Perché si sente sola e il paese non offre granchè.

Condividiamo lo stesso ruolo, lei per lavoro e io per legame affettivo. Mi dice che ha lasciato la piccola figlia in casa con sua madre e piange perché si sente senza identità. Mi racconta dei suoi studi. Nella nazione dalla quale proviene si occupava di economia e aveva la passione per la chitarra classica.

Qui non può suonare perché da fastidio ai vicini che di chitarre non ne hanno sentite mai, neanche alla parrocchia del paese.

E poi, che scandalo, una donna che alla sua età ancora si porta appresso uno strumento musicale. E’ l’unica cosa sua che poteva portare, perché tutto il resto ha dovuto lasciarselo alle spalle.

Ogni tanto la sento, dalla finestra della sua camera, vibrare qualche nota. Un suono soffocato, come frustrato è tutto quello che qui può fare.

Viveva in una grande città e si ritrova in un piccolo paesino di provincia. Un posto dove molti la guardano male perché per le malelingue queste straniere vengono a prendersi le pensioni dei vecchi. Così dicono. Lei invece prende a malapena uno stipendio, vitto e alloggio, e non ha neppure i soldi per fare una telefonata decente alla sua bambina.

Oggi mi ha chiesto se poteva suonare in casa mia, nella stanza in fondo, così non la sentiva nessuno. Voleva registrare qualcosa da mandare alla figlia. Le ho prestato il registratore digitale. Ne abbiamo ricavato un mp3. Non ho qui un software decente e non sono riuscita a ripulirlo dai rumori esterni, però è venuto bene. Sua figlia l’ha già ricevuto via web. E per fortuna esiste la tecnologia che permette di mandare vibrazioni e pezzi di cuore a distanze altrimenti irraggiungibili.

Ha suonato un pezzo bellissimo, mio padre ha voluto che lo suonasse ancora. Mentre l’ascoltava aveva gli occhi lucidi perché a lui la musica è sempre piaciuta. E’ un uomo fatto di emozioni. Mi piace avere tutto il tempo per non perdermene nessuna.

Poi Ilenia è tornata al suo lavoro e mi ha lasciato quel pezzo di arte da riascoltare, con la promessa che l’avrebbe rifatto.

Vieni quando vuoi…
Lo farò. Grazie!
No. Grazie a te…

Guardo mio padre, i suoi occhi vivi, mi duole non saper suonare qualcosa che gli piaccia. Faccio quello che lui ha fatto tante volte con me.

Raccontami una storia…

Ed è forse quello che so fare meglio.

C’era una volta una ragazza straniera, Ilenia di nome, badante di mestiere… e suonava la chitarra per portare un po’ di luce perfino dove è difficile vedere.

Peccato che la gente ami stare al buio e quando arrivi un angelo a rischiarare le proprie giornate sappia solo brontolare…

Che stupidi…
Già, papà. Sono proprio stupidi.

Sogni d’oro, Ilenia. Sogni d’oro, papà.

Posted in Racconti 2010, Storie precarie.

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