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La signora gentile

La signora della bottega mi saluta con la mano. Ripete quel gesto tutte le volte che mi vede passare. Quando mi fermo a comprare qualcosa mi chiede come sta la mia famiglia, se ho fatto dei progressi nel lavoro, se i bambini stanno bene.

E’ una donna sola. Di quelle che in altri tempi avrebbero chiamato “zitella”. Vive con la sorella, quella sposata, perché secondo la sua famiglia non sta bene che lei viva da sola.

E’ una famiglia allargata, di quelle all’antica, dove sorelle, zie, suocere, madri stanno insieme e al pomeriggio bevono il rosolio fatto in casa all’ombra di una tenda che ripara il salone barocco dal sole del primo pomeriggio.

Ha una cortesia immutata. Si impone d’essere gentile. Non smorza il sorriso neppure quando lo sguardo dice tutt’altro.

Con donne del genere non puoi parlare senza vestire i panni della sposa, madre, moglie, tutta casa e famiglia.

Confesso che le prime volte che mi si rivolgeva in tono così confidenziale ho provato a dirle cose abbastanza trasgressive. Poi però mi rivolgeva una battuta disarmante e sembrava davvero terribile infierire su di lei.

Con certe donne non puoi parlarci di quello che pensi per davvero. Perché se dici certe cose infrangi il vetro spesso dietro il quale si nascondono.

Ti pare di ferirle, come se modificassi arbitrariamente il corso di un fiume. Come se tentassi di riportare alla realtà un bambino immerso nei propri sogni.

Certe donne bisogna lasciarle tranquille perché a scuoterle troppo si rischia di esporle a cataclismi imprevedibili.

La signora mi accoglie sempre con un sorriso. Talvolta il suo slancio arriva fino ad una carezza e poi chiede di me a mia madre, ai miei figli. “Mi saluti sua figlia… saluta tua madre…” e quelli puntualmente mi portano i saluti.

Una volta mi regalò una confezione di dolcetti. Non quelli in vendita nello scaffale. Ci teneva a chiarire che quei dolcetti li aveva fatti proprio lei. Ed era in quella dimensione di cura delle persone che incontrava che si realizzava la sua socialità.

Una gentilezza che ho trovato poche volte nella vita. Perché la gentilezza la paghi con le menzogne. Entri nel sogno di una persona e devi giocare al suo gioco. Non puoi dire o fare niente per interferire.

So per certo che nella mia vita di tutti i giorni, la mia quotidianità, non potrei mai accettare di stare muta per rispettare l’illusione altrui.

Pensate quante volte le persone ti chiedono di tacere, di non scuoterle o semplicemente di essere altro rispetto a quello che siete.

Perché di voi accettano soltanto il riflesso di se stessi. Nulla più di questo. Qualunque cosa che sottolinei un vostro bisogno, la vostra urgenza di affermare un piccolo pezzo della vostra realtà, le ferisce a morte.

Ed è in questo dilemma che talvolta mi sono trovata quando per tenere in vita l’illusione altrui ho dovuto condannare a morte un pezzo della mia esistenza.

Non potrei mai vivere con qualcuno così. Non potrei accettare di restare impassibile, unica responsabile di una relazione della quale è necessario essere responsabili in due, a tutela di persone che non sono in grado di reggere il peso della vita.

La signora è l’unica persona che mi sforzo di non turbare mai. E non è perché ho saputo per caso che ha avuto una brutta depressione e che prende dei farmaci che le rubano le emozioni. Lo faccio perché se i mondi altrui non incrociano spesso i miei riesco a rinunciare ad un pezzo di me giusto per un attimo.

Però il saluto di quella signora mi fa venire in mente tutte le volte che quella donna è prigioniera di una famiglia che non le permette di essere triste o arrabbiata per la sua prigionia.

Fosse stata libera di sentirsi persona invece che una donna senza marito. Fosse stata libera di sentirsi utile a se stessa invece che mancante di qualcosa. Fosse stata libera di vivere da sola invece che restare a fare la babysitter e la badante di nipoti e vecchi.

Ma se non so che alternativa proporle, che glielo dico a fare?

Se le donne come lei non hanno alternative di altro genere, chi sono io per farla sentire peggio?

Passo davanti al negozio di famiglia, ricambio il saluto. Mi fermo qualche secondo a sorriderle. Lei mi raggiunge fuori e mi consegna un bacio. Come fosse un grande regalo.

“I bambini?”
“Stanno bene…”
“E sua madre?”
“Bene anche lei…”
“Tanti cari saluti e non si stanchi troppo…”
“Grazie signora. Ci provo, sa? Ci provo davvero a non stancarmi troppo… ripasso da qui più tardi…”

Mi avvio. Ho tanta realtà da affrontare. E so quanto è difficile esserne consapevoli. Eccome se lo so.

Posted in Racconti 2011.